giovedì 28 aprile 2011

Sui paradossi della democrazia

Prendo spunto dall’articolo Non c’è più tempo di Alberto Asor Rosa, pubblicato il 13 aprile su “Il Manifesto”, per fare una breve riflessione sui paradossi della democrazia. Vediamo cosa scrive il professor Asor Rosa:

«C’è sempre un momento nella storia delle democrazie in cui esse collassano più per propria debolezza che per la forza altrui, anche se, ovviamente, la forza altrui serve soprattutto a svelare le debolezze della democrazia e a renderle irrimediabili (…) Oggi in Italia accade di nuovo perché un gruppo affaristico-delinquenziale ha preso il potere (si pensi a cosa ha significato non affrontare il “conflitto di interessi” quando si poteva!) e può contare oggi su di una maggioranza parlamentare corrotta al punto che sarebbe disposta a votare che gli asini volano se il Capo glielo chiedesse. I mezzi del Capo sono in ogni caso di tali dimensioni da allargare ogni giorno l’area della corruzione (…) E’ stata fatta la prova di arrestare il degrado democratico per la via parlamentare, e si è visto che è fallita (…) Si potrebbe dire che oggi la democrazia in Italia si dissolve per via democratica, il tarlo è dentro, non fuori (…) La domanda è: cosa si fa in un caso del genere, in cui la democrazia si annulla da sé invece che per una brutale spinta esterna? (…) E’ arrivato in Italia quel momento fatale in cui, se non si arresta il processo e si torna indietro, non resta che correre senza più rimedi né ostacoli verso il precipizio. Come? (…) Dico subito che mi sembrerebbe incongrua una prova di forza dal basso, per la quale non esistono le condizioni, o, ammesso che esistano, porterebbero a esiti catastrofici (…) Ciò cui io penso è invece una prova di forza che, con l’autorevolezza e le ragioni inconfutabili che promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano, scenda dall’alto, instaura quello che io definirei un normale “stato d’emergenza” (…) Restituisce l’Italia alla sua più profonda vocazione democratica, facendo approdare il paese ad una grande, seria, onesta e, soprattutto, alla pari consultazione elettorale. Insomma: la democrazia si salva, anche forzandone le regole.»
Aberto Asor Rosa, “Il Manifesto”, Non c'è più tempo, 13/04/2011.

Asor Rosa, dunque, sostiene che in Italia la democrazia stia collassando; e afferma che ciò non avviene per opera di forze esterne a essa (un golpe, per esempio), ma per via democratica, per mano di un gruppo affaristico-delinquenziale di politici democraticamente eletti grazie alla forzatura di delicati equilibri della stessa vita democratica (come il controllo smisurato dell’informazione attraverso tv e giornali). Questi politici, ora, muovendosi sul limite della legalità democratica, capeggiati da un leader carismatico e populista a cui ubbidiscono ciecamente, stanno smantellando la democrazia stessa, colpendola nei suoi capisaldi (lo Stato di diritto, la separazione dei poteri, la difesa e la tutela del “pubblico” in tutte le sue forme, la prospettiva dell’alternanza di governo) al fine di garantirsi privilegi personali e assicurarsi il mantenimento del potere politico. Ciò avviene non con atti di brutale forza fisica, ma modificando in corsa, attraverso i procedimenti democratici (spesso con forzature o fantasiose e discutibili interpretazioni di questi stessi procedimenti), le regole del gioco, in modo da sfavorire, quando non imbrogliare (si veda il tentativo legale e furbesco di far saltare il referendum sul nucleare), l’avversario politico in ogni modo. Cosa fare? Una rivoluzione? Troppo rischiosa, e poi non è detto che ci siano in campo le forze adeguate per riuscire. Allora un “golpe democratico”. Sembrerebbe un ossimoro, a sentirlo così. E comunque è una parola, golpe (tra l’altro mai scritta da Asor Rosa), che fa sobbalzare sulla sedia e che al sottoscritto evoca scenari cupi, per niente rassicuranti, neppure se il colpo di Stato viene fatto per fini democratici, con la rassicurazione che, ristabilite le regole democratiche, si torna immediatamente (ma quanto immediatamente? il tempo, in questi casi, non è questione di poco conto) a votare liberamente per scegliere il nuovo parlamento e il nuovo governo. Il tutto, come immagina Asor Rosa, sotto la stretta sorveglianza dell’Unione Europea.

(Una situazione simile si sta verificando proprio in questi mesi in Egitto, dove una rivoluzione pacifica dal basso e un golpe democratico dall’alto, portato avanti dall’esercito, ha costretto l’ex presidente-dittatore Mubarak alle dimissioni. Ora la situazione è, giocoforza, nelle mani dell’esercito che gestisce la fase transitoria che porterà il popolo egiziano a nuove libere elezioni. Ma ci si può fidare dell’esercito? Non dobbiamo mai dimenticare che i soldati sono armati e rispondono a un corpo fortemente gerarchico abituato agli ordini, non alla democrazia.)

Come è intuibile, la proposta politica di Asor Rosa ha suscitato polemiche, sdegno, condanna, prese di distanza; e non solo nel campo dei manganellatori mediatici filo-Pdl, ma anche nei meno feroci ambiti dei cosiddetti moderati e persino da aree politiche amiche. D’altronde, lo scenario di un golpe, non fa certo venire in mente la primavera...
Ma veniamo ora al nocciolo della questione: i paradossi e le contraddizioni del regime democratico. La legge del 20 giugno 1952, n. 645, “Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione” recita:

1. Riorganizzazione del disciolto partito fascista.
Ai fini della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione, si ha
riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, princìpi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista.
2. Sanzioni penali.
Chiunque promuove, organizza o dirige le associazioni, i movimenti o i gruppi indicati nell’articolo 1, è punito con la reclusione ecc ecc...


In soldoni: sono possibili tutti i partiti e i movimenti politici nella democrazia italiana tranne il partito fascista o un qualsiasi altro partito che alle idee del partito fascista si ispira. Non è forse una legge antidemocratica questa? Certo che lo è. Ma è vitale alla sopravvivenza stessa della democrazia. In altre parole: la democrazia, paradossalmente, deve contemplare nel proprio organismo un po’ di antidemocrazia (norme antidemocratiche) al fine di proteggere se stessa da possibili attacchi antidemocratici (non si può far competere elettoralmente un partito che, se vincesse le elezioni, abolirebbe immediatamente le elezioni stesse, bandirebbe tutti gli altri partiti e instaurerebbe di fatto una dittatura, anche se questo partito, in un determinato momento storico, fosse espressione della maggioranza del popolo). Insomma, la democrazia deve essere antidemocratica con gli antidemocratici per salvaguardare se stessa (ma potremmo anche dire che la democrazia deve avere in sé un po’ di fascismo ed essere fascista con i fascisti per non morire essa stessa di fascismo). E’ lo stesso principio della medicina omeopatica. Ma qual è il limite entro il quale - dobbiamo allora chiederci - ingerire il veleno ci rende immuni dal veleno stesso senza avvelenarci? Qual è la percentuale di antidemocrazia sana (chiamiamola così) che garantisce la democrazia dall’antidemocrazia (o totalitarismo)?
Detto questo, torniamo dunque al nostro punto di partenza, ovvero all’articolo di Asor Rosa, e non si può che restare perplessi osservando lo sdegno e il clamore suscitati da un’ipotetica forzatura delle regole democratiche per salvaguardare la democrazia, quando la stessa democrazia, nelle sue leggi già in vigore, nega in parte se stessa per salvare se stessa. Insomma, in punta di principio non c’è molto di cui scandalizzarsi. Le questioni, semmai, sono altre. Prima fra tutte: siamo davvero in una situazione così grave per cui si ha la necessità di una soluzione così altrettanto grave? E se sì: quanto profondo e incisivo deve essere l’intervento, ovvero, per tornare alla metafora omeopatica, quanto veleno possiamo iniettare senza rischiare di ammazzare la nostra democrazia? E chi dovrebbe fare il medico? E chi il dirigente dell’azienda ospedaliera? Una serie di interrogativi di non poca importanza, perché da essi dipendono la sopravvivenza o meno del nostro paziente. Asor Rosa ritiene la nostra democrazia moribonda e quindi, a suo avviso, l’intervento eccezionale sarebbe auspicabile; e indica anche un possibile medico (carabinieri e polizia). Ma ecco sorgere altre domane e altri dubbi: si tratterebbe di un’iniziativa tutta in mano ai militari (polizia, carabinieri ecc ecc), da loro cioè decisa e condotta, oppure la regia spetterebbe a una istituzione democratica? E quale istituzione democratica potrebbe arrogarsi il diritto di somministrare il farmaco: la Magistratura? il Capo della Stato? la Corte costituzionale? la Corte dei conti? Ma, soprattutto, ci sono oggi in Italia uomini di altissimo rigore morale e di provata fede democratica nelle cui mani possiamo noi mettere, in piena fiducia, il bisturi con cui salvare il nostro futuro democratico?



Linkografia
Giuliano Ferrara,"Il Giornale", Attenti, c'è una sinistra che incoraggia il golpe.
Giuliano Ferrara, Rai 1, Radio Londra.
Furio Colombo, "Il Fatto Quotidiano", Asor Rosa, la follia come liberazione.
Pierluigi Sullo, "Il Manifesto", Non esistono «dittature democratiche».
Pierluigi Battista, "Corriere della Sera", I Fantasmi della Sinistra e l’Uso delle Parole esplosive.
La stanza di Candaules, Cum grano salis: ancora sul Paradosso della democrazia.

mercoledì 27 aprile 2011

Sulle parole del processo lungo

Si è detto molto sull’uso delle parole in politica fatto dalla destra di Berlusconi. Per esempio, si è parlato dello “scendere in campo” come a indicare un arrivo dall’alto nell’agone politico (che è ben diverso da un "prestarsi al servizio di"). Al suo ingresso nella politica, nel 1994, Berlusconi parlò di “azienda Italia” , e già da subito si doveva capire quali sarebbero state le sue mosse future. Perché se l’Italia è una azienda, chi sta al vertice dell’azienda ne è il proprietario o l’amministratore unico e non il primo ministro, cioé un uomo al servizio dello Stato (e questo spiega bene il fastidio di Berlusconi per le altre istituzioni); e i cittadini, nel migliore dei casi, sono dei dipendenti, con tutto ciò che ne consegue. Non dimentichiamo, tuttavia, che già da tempo veniamo più spesso considerati, invece che cittadini, consumatori.
Ma entriamo nello specifico del dibattito di queste settimane sul processo breve e i suoi derivati. Come sempre, il governo Berlusconi è abile nel fare equilibrismi lessicali. L’equivoco di fondo, con cui si vuol far credere che l’Europa chiede un processo breve e che questo processo breve è un bene per tutta la collettività che lo reclama a gran voce, sta tutto nella scelta dell’aggettivo con cui è posta la questione: il processo è lungo. Perché se il processo è lungo, la soluzione sarà un processo breve; e se la soluzione è un processo breve, allora le scelte strategiche dovranno mirare a rendere più corto il tempo a disposizione dei magistrati per fare il processo (di qui la prescrizione breve e le altre proposte in discussione). Che poi questo sia fonte di giustizia ingiusta e che aggravi le carenze del nostro sistema giudiziario, non è questione che importi, a quanto pare. Ma se noi cominciassimo a chiamare le cose con il proprio nome, a smascherare le ambiguità e a diradare la nebbia dell’equivoco, salterà subito all’occhio come, da parte di qualcuno, si sia artatamente creata confusione attorno all’argomento col fine di confondere i meno attenti. Dunque: proviamo a sostituire l’aggettivo lungo con l’aggettivo lento e vediamo cosa succede. Se il processo non è lungo, ma è lento, ne consegue che non gli si opporrà come soluzione un processo breve, ma un processo rapido; questo comporterà così una diversa metodologia per risolvere la questione, che sarà finalizzata non ad accorciare i tempi a disposizione, ma ad aumentare le risorse (in termini economici, di personale, di attrezzature e così via) affinché il processo termini nei tempi prestabiliti (con l’assoluzione degli innocenti, la condanna dei colpevoli, il risarcimento delle vittime, insomma: la giustizia) e non cada in prescrizione. Come appare chiaro, è sufficiente sostituire l’aggettivo lento a lungo per avere risultati diametralmente opposti e, quindi, soluzioni opposte e opposte ricadute sulla società. Ci si chiederà: ma è possibile che il Governo non se ne sia accorto? Possibile che siano tutti così poco avveduti da inciampare in un banale problema di aggettivi? Il fatto è che a Berlusconi un processo rapido fa orrore! Processo rapido significherebbe che i processi che lo vedono imputato andrebbero a buon fine, rivelandoci, finalmente, la sua innocenza o la sua colpevolezza. Il processo, per Berlusconi, deve essere necessariamente breve, così breve, possibilmente, che non si riesca neppure a celebrarlo. E comunque, nel caso, alla difesa si dovrà dare la possibilità di rallentarlo il più possibile, pur di farlo andare in prescrizione (si veda in proposito l’emendamento del capogruppo Pdl in commissione Giustizia, Franco Mugnai, al ddl sul “giudizio abbreviato”, che consente alla difesa di presentare elenchi infiniti di testimoni; e prevede che una sentenza passata in giudicato non potrà più considerarsi prova definitiva in un processo). Insomma, non è una formalità, ma una questione di qualità.

giovedì 14 aprile 2011

Provo ad aprire un blog

Provo ad aprire un blog. E lo intitolo Ripensandoci.
Il "ripensarci" è una mia caratteristica. Forse un difetto. O magari un pregio. Sì, un pregio, perché il ripensare è il mio modo per prendere tempo, per riflettere con calma, per ragionare a freddo, al riparo da fuorvianti pulsioni emotive. Un affidarsi alla ragione, alla razionalità, alla logica ferrea e matematica. Senza mai dimenticare che alla fine siamo uomini, non funzioni. Ecco, questo faccio quando "ripenso". Ma a dirla tutta, fuori da ogni nobile alibi, il mio "ripensare" è anche una latitanza, il segno di una carenza: l'incapacità, in una situazione data, a una pronta reazione. Magari emotiva e sconclusionata, confusa anche, ma, almeno nell'immediato, efficace: per parare colpi, evitare buche, soccorrere, attaccare, difendersi...
Comunque sia, resta l'atto del ripensare: alle cose viste, agli eventi vissuti in prima persona e no, alle parole dette o non dette ma che avrei voluto dire, a quelle ascoltate o che avrei voluto ascoltare o non ascoltare, a ciò che ho fatto o non ho fatto; a ciò che ho subito, magari in silenzio, in nome di un malinteso senso di responsabilità, quando, non addirittura, di superiorità.
Un blog di rovelli e seghe mentali, dunque?
No. Anche perché difficilmente parlerò del mio privato.
Ora le domande sono: chi mai leggerà queste pagine? E perché dovrebbe leggerle?
Alla prima non so rispondere. Alla seconda non posso, se non altro per una forma di eleganza. In ogni caso, a coloro che che si imbatteranno in questi scritti auguro una buona lettura. Io farò del mio meglio per non annoiarli.